Innovatori, vi prego, parlate italiano!

Avete notato anche voi che tutte le volte che si parla di innovazione e cambiamento le parole chiave usate, i titoli delle conferenze, i nomi dei settori vengono sempre usati in inglese? Che ne pensate? Io lo trovo dannoso. Davvero pensiamo che l’innovazione e il cambiamento possano essere raccontati soltanto in inglese? Che dire “food” sia più moderno di “cibo”? Che “social” sia più fico di “sociale”? Che “job” sia più rassicurante di “lavoro”?

A me sembra una tendenza pericolosa, e altamente lesiva della percezione che noi abbiamo del nostro Paese e del suo potenziale nel campo dell’innovazione. Se noi innovatori per primi rinunciamo a descrivere l’innovazione nella nostra lingua, è come se rafforzassimo il messaggio che l’innovazione vera avviene sempre altrove, e che se vogliamo essere davvero “cool” dobbiamo fare finta di abitare quell’altrove e rinunciare al racconto che la nostra lingua può costruire del futuro.

Usare l’italiano solo per descrivere il passato e non per generare futuro ci priva di una enorme ricchezza: che facciamo costruiamo le basi per diventare coloni nel nostro stesso Paese? Progettare in italiano, creare le nostre parole per descrivere le cose nuove che tanti di noi stanno inventando ci aiuterà a sentirci padroni di un pezzo di futuro.

Non sono tra coloro che dicono elaboratore al posto di computer, intendiamoci. Ma “food”? In Italia? Come on!

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3 thoughts on “Innovatori, vi prego, parlate italiano!

  1. Francesco Sullo ha detto:

    Sono del tutto d’accordo con te.

    L’innovazione non è solo tecnologica o di processo, è qualcosa che si attua a tutti i livelli e a prescindere dalla disciplina coinvolta. Nella fattispecie, l’innovazione linguistica è una delle più importanti perché ci offre le parole per dire le cose. Altrimenti, se le cose non le sappiamo dire, non ce le abbiamo realmente. E ci impoveriamo di conseguenza.

    Non ho mai approvato gli estremismi dei francesi, ma a ben vedere un senso la loro posizione ce l’ha. L’altro estremo, oltre che esplicativo di una soggezione culturale, è anche una chiara mancanza di stile.

  2. Daniele Ferrante ha detto:

    Si tratta di un’altra forma di provincialismo. La paragonerei a quella dei gruppi musicali che cantano in inglese pur non avendo mai lasciato l’italia.
    Allo stesso modo di questi gruppi musicali (che all’estero non esistono) mi chiedo quanti di questi inventori di start-up possano anche soltanto lontanamente farsi conoscere dove regnano i colossi dell’innovazione informatica.

    • Francesca Cavallo ha detto:

      Sei poco informato Daniele. Timbuktu è nata in Italia e ha vinto premi in UK e in USA oltre che qui. GoPago è nata in Italia ed è stata venduta ad Amazon. Questi sono soltanto due esempi, ma ce ne sono molti altri. Certe volte l’antidoto migliore al malumore è informarsi. 😉

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